CHI SONO

Nell’intestazione del mio curriculum lavorativo mi definisco con tre parole: scrittrice, sceneggiatrice, documentarista.
Ma nella mia presentazione per  questo blog voglio andare più a fondo.  

Due cose mi hanno sempre caratterizzata: la ricerca della verità e il bisogno di dare voce a chi non ce l’ha, o non ne ha abbastanza.
Sul primo aspetto ho già lavorato abbondantemente (sullo svelamento di una verità cinematografica, ad esempio, con il mio primo libro Filoteo Alberini l’inventore del cinema; sulle verità legate ai misteri ufologici ed esoterici con il mio secondo libro, ancora inedito, dal titolo L’uomo nuovo; su altre verità attraverso una serie di documentari d’inchiesta). Sul secondo aspetto ho cominciato a lavorare recentemente (attraverso, ad esempio, il mio impegno a favore del disarmo nucleare partecipando ai contenuti della campagna Senzatomica.it, o con uno spot sociale sull’handicap che ha vinto qualche premio…).   

Ma tutto il mio curriculum, in realtà, se ne può stare tranquillamente tra parentesi.  Non c’è ancora un progetto, un’idea di cui possa dire che veramente mi rappresenti.  E, soprattutto, non ho realizzato ancora quel progetto con cui centrare ciò che considero l’obiettivo della mia vita:  fare qualcosa che mi permetta di morire migliore di come sono nata.

Del resto, cercare di lavorare in ambito umanistico in un paese come l’Italia e, soprattutto, in questa specifica epoca storica, è muoversi come un Don Chisciotte contro i mulini a vento. Da ogni parte vengono censure, limiti, ostacoli, mortificazioni. Ovunque si tarpano le ali al cambiamento, alla fantasia, al talento, all'innovazione. E, allo stesso tempo, si cerca di smantellare completamente quanto di positivo c’era finora (pensiamo all’istruzione e alla sanità pubblica… )  

Le due caratteristiche che sembrano penalizzarmi di più in questo paese, nonostante gli studi compiuti e nonostante gli sforzi fatti, sono due: sono giovane e sono una donna. Quelli che qualche centinaio di chilometri da qui, nel centro e nel nord Europa, sarebbero considerati miei punti a favore, qui in Italia si trasformano in una zavorra intollerabile. 

Ma il problema non è certo il mio essere donna né il mio essere giovane.  Il problema è il sistema. E allo stesso tempo il problema è la rassegnazione o la condivisione del malcostume che legittimano la continuazione di questo sistema. E’ necessario alzare la testa e dire basta. Noi donne, abituate per natura al cambiamento, possiamo essere le prime a farlo.   

Da quando ho una figlia guardo il mondo con occhi diversi: do un altro valore al tempo e alle cose che faccio e che vedo. Se prima sopportavo a mala pena le ingiustizie e le mortificazioni che ogni giorno noi donne italiane subiamo, adesso esse mi suscitano una rabbia incontenibile. Non è questa l’Italia in cui voglio far crescere mia figlia, ma, d’altra parte, questo è il paese in cui voglio continuare a vivere. Quindi rimane una sola cosa da fare: lottare per il cambiamento.

Come dice Daisaku Ikeda, un filosofo buddista che considero mio maestro, “Il cambiamento di una singola persona può contribuire alla trasformazione di un’intera nazione e portare al cambiamento dell’intera umanità”.