martedì 8 novembre 2011

Irena Sendler, l'angelo del ghetto di Varsavia


Ieri qualcuno mi ha girato una mail sulla storia eccezionale e commovente di una donna che si chiamava Irena Sendler.
Irena è stata un’infermiera e assistente sociale polacca ed è morta il 12 maggio 2008, all’età di 98 anni.

Era nata nel 1910 in una famiglia polacca di orientamento politico socialista, nella periferia operaia di Varsavia. Il padre, Stanisław Krzyżanowski, era medico; morì di tifo nel febbraio 1917, avendo contratto la malattia mentre assisteva ammalati che altri suoi colleghi si erano rifiutati di curare. Molti di questi ammalati erano ebrei: dopo la sua morte, i responsabili della comunità ebraica di Varsavia si offrirono di pagare gli studi di Irena come segno di riconoscenza. Pur essendo di confessione cattolica, la ragazza sperimentò fin dall'adolescenza una profonda vicinanza ed empatia con il mondo ebraico.

All'università, per esempio, si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei, e come conseguenza venne sospesa dall'Università di Varsavia per tre anni.
Dopo aver concluso l’università rimase a Varsavia, che i nazisti avevano occupato nel 1939, e cominciò a lavorare per salvare gli Ebrei dalla persecuzione: con altri collaboratori, riuscì a procurare circa 3.000 falsi passaporti per aiutare le famiglie ebraiche a fuggire.

Nel 1942 entrò nella resistenza polacca ed entrò a far parte del movimento clandestino non comunista Zegota, che la incaricò la donna delle operazioni di salvataggio dei bambini ebrei del Ghetto.

Come dipendente dei servizi sociali della municipalità, la donna ottenne un permesso speciale per entrare nel Ghetto alla ricerca di eventuali sintomi di tifo (i Tedeschi temevano che una epidemia di tifo avrebbe potuto spargersi anche al di fuori del Ghetto stesso). Durante queste visite, Irena portava sui vestiti una Stella di Davide come segno di solidarietà con il popolo ebraico, ma anche  per non richiamare l'attenzione su di sé. In questo modo i bambini più piccoli vennero portati fuori dal Ghetto dentro ambulanze o altri veicoli.

In altre circostanze, la donna si spacciò per un tecnico di condutture idrauliche e fognature: entrata nel ghetto con un furgone, riusciva a portarne fuori alcuni neonati nascondendoli nel fondo di una cassa per attrezzi, o alcuni bambini più grandi chiusi in un sacco di juta. Nel retro del camion teneva anche un cane addestrato ad abbaiare quando i soldati nazisti si avvicinavano, e a coprire così il pianto dei bambini.

Fuori dal Ghetto, Irena forniva ai bambini dei falsi documenti con nomi cristiani, e li portava nella campagna, dove li affidava a famiglie cristiane, oppure in alcuni conventi. La donna annotava i veri nomi dei bambini accanto a quelli falsi e seppellì gli elenchi dentro bottiglie e vasetti di marmellata sotto un albero del suo giardino, nella speranza di poter un giorno riconsegnare i bambini ai loro genitori.

Nell’ottobre 1943 Irena venne arrestata dalla Gestapo: fu sottoposta a pesanti torture (le vennero spezzate gambe e braccia, tanto che rimase inferma a vita), ma non rivelò il proprio segreto. Condannata a morte, venne salvata dalla rete della resistenza polacca, che riuscì a corrompere con denaro i soldati tedeschi che avrebbero dovuto condurla all'esecuzione. Il suo nome venne così registrato insieme con quello dei giustiziati, e per i mesi rimanenti della guerra visse nell'anonimato, continuando però a organizzare i tentativi di salvataggio di bambini ebrei.

Terminata la guerra e l'occupazione tedesca, i nomi dei bambini vennero consegnati ad un Comitato Ebraico, che riuscì a rintracciare circa 2.500 bambini, anche se gran parte delle loro famiglie erano state sterminate nei lager.

C’è un sito che raccoglie il suo messaggio e la sua storia.
Nel 2009 è stato realizzato un film per la televisione, di coproduzione Polacca e Americana, The Courageous Heart of Irena Sendler, in lingua inglese.

Nel 2007 il suo nome era stato proposto per il premio Nobel per la pace, ma quell’anno il premio venne assegnato ad Al Gore.


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